Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/30

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26 FILOCOLO

gli uccelli ficcatosi, con rabbiosa fame il capo della fagiana prese, e quello divorato, per forza l’altro busto trasse degli artigli di Niso: il quale poi che voti della presa preda si trovò gli artigli, gridando il vidi non so come in tortola essere trasmutato, e sopra un vicino albero, nel quale fronda verde il nuovo tempo non avea rimessa, posarsi, e sopra quello a modo di pianto umano quasi la sentiva dolere. E così stando, mi parve vedere il cielo chiudersi d’oscuri nuvoli, molto peggio che quella notte, che noi di morire dubitammo, non fece. E picciolo spazio stette ch’egli ne cominciò a scendere un’acqua pistolenziosa con una grandine grossa, con venti e con tempesta simile mai non veduta: e i tuoni e’ lampi erano innumerabili e grandissimi. E certo io dubitava non il mondo un’altra volta in caos dovesse tornare! E tutta questa pistolenzia parea che sopra il dolente uccello cadesse: la quale dolendosi con l’alie chiuse tutta la sostenea. La terra e ’l mare e ’l cielo crucciati e minacciando peggio, pareano contra a quella commossi, né parea che luogo fosse alcuno ove essa per sua salute ricorso avere potesse. E così di questa visione in altre, le quali alla memoria non mi tornano, mi trasportò la non stante fantasia, infino a quell’ora che io poco inanzi mi svegliai, trovandomi ancora nella mente turbato della compassione avuta al povero uccello -.

- Strane cose ne conta il tuo parlare - disse Ascalion, - né che ciò si voglia significare credo che mai alcuno conoscerebbe: e però niuna malinconia te ne dee succedere. Manifesta cosa è che ciascuno uomo ne’ suoi sonni vede mirabili cose e impossibili e strane,