Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/365

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alle sue case.

Stette Florio quanto il lagrimoso verno durò col suo padre e con la sua madre. E negli oziosi tempi narra loro i nuovi e perversi accidenti avvenutigli dopo la sua partita. Egli prima all’altre cose dice l’avversità avuta della sua nave negli ondosi mari e mostra loro come quella, da più contrarii venti combattuta, ad alcun porto dirizzare non potea la sua prora; poi come dalle rotte onde del mare, ora d’una parte ora d’altra percossa, e talora da quelle coperta, più volte perduta, e loro con lei si riputarono, e come essendo loro dal vento la vela e l’albero tolto, e dal mare i timoni, e il cielo minacciando crudelissime tempeste, spesso aprendosi con grandissimi tuoni, quella per perduta già vinti abandonarono: e giacendo sanza potersi atare si concederono alla fortuna, la quale poi in Partenope con la già rotta nave li trasportò. - Quivi - disse Florio - ci ritenne contrario vento, tanto che cinque volte tonda e altretante cornuta si mostrò per tutto il mondo Febeia -. Poi per molti mezzi mostrò come in Alessandria venisse, e quello che quivi facesse, e quanto vi stesse: e con una verghetta che in mano tenea, disegna loro l’alta torre da Sadoc guardata, e le sue bellezze conta, come colui che vedute l’avea. Poi con quella verga più spazio pigliando, qual fosse e quanto il verde prato dimostra, e dove l’amiraglio sedesse, quando fra le rose nella cesta gli fu presentato avanti: e dice quanta la sua paura fosse sentendosi tirare i biondi capelli. Poi disegna da che parte della torre fosse su tirato, e come nella bella camera di Biancifiore