Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/91

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e certo queste cose usò Marte, cui tu sai per amore divenuto umile, a levare a Vulcano Venere sua legittima sposa. E sanza dubbio quella umiltà che nel viso appare agli amanti, non procede da benigno cuore, ma da inganno prende principio. Né fa questo amore i cupidi liberali, ma quando in tanta copia, quanta poni che in Medea fu, abonda ne’ cuori, quelli del mentale vedere priva, e delle cose, per adietro debitamente avute care, stoltamente diventa prodigo, non quelle con misura donando, ma disutilmente gittando: crede piacere, e dispiace a’ savi. Medea, non savia, della sua prodigalità assai in brieve tempo sanza suo utile si penté, e conobbe che se moderatamente i suoi cari doni avesse usati non saria a sì vile fine venuta. E quella sollecitudine, la quale in danno de’ sollecitanti s’acquista o s’adopera, non ci pare per alcuno dovere essere cercata: molto vale meglio ozioso stare che male adoperare, ancora che né l’uno né l’altro sia da lodare. Paris fu sollecito alla sua distruzione, se ’l fine di tale sollecitudme si riguarda. Menelao non per amore, ma per racquistare il perduto onore, con ragione divenne sollecito, come ciascuna persona discreta dee fare. Né è ancora questo amore cagione di mitigata ira; ma benignità d’animo, passato l’impeto che induce quella, la fa tornare nulla, e rimettesi l’offesa a chi contro s’adira: ben che gli amanti, e ancora i discreti uomini, sogliono usare di rimettere l’offese a preghiera di cosa amata o d’alcuno amico, per mostrarsi di ciò che niente loro costa, cortesi, e obligarsi i pregatori: e per questa maniera Achille più volte già mostrò di cacciare da sé la concreata ira.