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146 LA TESEIDE


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O misera Fortuna, de’ viventi
     Quanto dai moti spessi alle tue cose!
     E come abbassi li sangui e le genti,
     E quando vuogli ancora graziose
     Le vilissime fai, e non consenti
     Di leggi avere in sè maravigliose:
     Siccome uom vede in me, che son verace
     Esempio del girar che fai fallace.

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Di real sangue, lasso, generato
     Venni nel mondo, e d’ogni pena ostello,
     E con gran cura in ricchezze allevato
     Nella città di Bacco, tapinello
     Vissi: e con gioia venni in grande stato,
     Senza pensar al tuo operar fello:
     Poi per altrui peccato, e non per mio,
     La gioia e il regno e ’l sangue mio perio.

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E fui del campo per morto doglioso
     Ferito, tolto e recato a Teseo,
     Il qual siccome signor poderoso,
     Come gli piacque imprigionar mi feo:
     Quivi, per farmi peggio, l’amoroso
     Dardo mi entrò nel cor focoso e reo
     Per la bellezza d’Emilia piacente,
     Che mai di me non si curò niente.