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LIBRO SETTIMO | 253 |
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Non isdegnare adunque il mio amore,
Che a combatter per te fiero m’induce;
Ma con preghiere lo sommo Fattore,
Che creò te e ciascun’altra luce,
Tenta per te e per lo mio onore,
Il fin del qual più là non si conduce
Che per premio poterti possedere,
E me per tuo in eterno tenere.
126
E’ non saprebbe, posto che ’l volesse,
Tornar indietro, bella donna e cara,
Cosa che la tua bocca gli chiedesse:
Dunque non m’esser de’ tuoi preghi avara;
Alli qua’ dimandar, se io potesse,
Senza fallo verrei: ma tu, che rara
Savia fra l’alte se’, conoser puoi
Ciò ch’io domado tacendo, se vuoi.
127
E ciò che è con preghi domandato,
Donna, non è soverchio da gradire,
Perocchè par venduto e non donato.
Adunque poichè sai il mio disire,
Che di te fui pria ch’altro innamorato,
Senza aprirtel provvedi al mio languire,
E fammi lieto di sì fatto dono,
Che vaglio sol perciocchè di te sono.