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352 | LA TESEIDE |
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E poi ch’Arcita l’ebbe rimirata
Con occhio attento, siccome potea,
Ed ebbe bene in sè considerata
La gran bellezza che la donna avea,
Cominciò con sembianza trasmutata
A parlare in tal guisa qual potea,
Premessi avanti dolenti sospiri,
Caldo ciascun d’amorosi disiri.
54
Piangemi amor nel doloroso core
Là onde morte a forza il vuol cacciare;
Nè vi può star, nè uscire ne può fuore,
Sì ch’io il sento in me rammaricare
Con pianti, e con parole di dolore
Accese più che non potrei narrare:
In forma che di sè mi fa pietoso,
Ed oimè lasso, oltre ’l dover noioso.
55
Gli spiriti visivi assai sovente
Mostrano a lui l’angelica figura,
Per la qual’esso nel core è possente,
Dicendo: deh fia tal nostra sciagura,
Che ci convenga teco insiememente
Abbandonar sì nobil creatura?
Esso risponde loro, e sì gli abbraccia,
Dicendo: si, che morte me ne caccia.