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CENTURIA TERZA - RAGGUAGLIO LXX 217

che pericolava; e facendo la Maestá di Apollo segno che si contentava, come prima ella vi fu salita, interrogò il fiscale, se era vero che, quando l’eccellentissimo signor Cornelio Tacito fu admesso in Parnaso, talmente fossero approvati da Sua Maestá tutti i precetti che negli scritti suoi avea pubblicati quell’uomo memorando, che avesse esortati i prencipi e i privati a servirsi di essi nelle urgenti occasioni loro, ancorché de directo fossero stati contrari alle pragmatiche pegasee. A questa domanda rispose il fiscale che nelle cose morali assolutamente era vero, ma che nelle politiche solo negli Stati nuovamente soggiogati, o in qualsivoglia modo’acquistati, per buona grazia di Sua Maestá sicuramente si poteano praticare; ma che negli Stati ereditari e di antica successione era proibito il servirsi di essi, come per la maggior parte tirannici. Disse allora donna Vittoria che, se cosi era, ella fece le nozze per obbedir al precetto di Tacito, il quale apertamente avea detto, che la sicura tramontana con la quale altri deve far il viaggio pericoloso della sua vita era far tutti gli ultimi sforzi per arrivar al segno di «be?ie se habere cum dominantibus» precetto dal medesimo Tacito conosciuto tanto vero, che fu ripetuto da lui in un altro luogo, quando disse che era sommo onore far «omnia serviliter prò dominatone» < 1 2 ), e che ella non mai avrebbe ardito comparir in queU’onoratissimo luogo, se le fosse stata rinfacciata la brutta indegnitá di essersi accasata con un Francese, con un Inglese, con un Todesco, o con un altro soggetto di nazion straniera; ma che ad una sua pari era stato conseglio necessario far le nozze con un personaggio spagnuolo, di quell’autoritá che per il proprio valore fu il marchese suo marito in Italia, per poter aver qualche particella di dominazione nella pubblica servitú degli Italiani. Non solo come vinto, ma come svergognato, udito che ebbe il detto irrefragabile di Tacito, scese dal pulpito il fiscale, onde tutti i virtuosi,

(1) [Questo detto non ha riscontro nell’opera di Tacito.]

(2) [Taci io, nel libro I delle Storie, cap. 36.]