Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/344

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A monsignor Giacomo Sannesio.

Molto illustre e molto reverendo mio, sto in decretis piú ostinato di un Giudeo, che in questa benedetta guerra d’Ungaria, quanto al bene che possiamo sperare, Aethiopem lavamus, cioè pestiamo l’acqua nel mortaio, e, quanto al male che doveamo temere, ignem gladio fodimus, che un pedante traslaterebbe in italiano, che attacchiamo le raganelle al toro, perché tutti quei 48 argani, che di peso levórno l’aguglia di San Pietro, non sarebbono bastanti a cacciarmi dal cervello questa massima che vi si è fitta, autenticata da una statuai politica, che la Germania vuol piú tosto perdere Vienna, che acquistar Buda, mercé che maggior danno teme dalle vittorie di casa d’Austria, che dalli acquisti de’ Turchi; e però, quando anco il grande Ippocrate, pater totius medicinae, presumesse guarir quell’ammalato, che avesse per suo fine il morir di febre etica, non solo vi perderebbe clys/erias et medicinas , ma ragionevolissimamente sarebbe tenuto dalla brigata per lo piú serenissimo Bergamasco, che mai cacciasse fuori tutta la Voltolina.

Dicami di grazia la Vostra Signoria, signor Iacopo mio, sotto Ferdinando re de’ Romani, fratello di quel Carlo V tre volte grandissimo cosi nelle cose sante e buone, come in quelle che fetebant piú di un Lazzaro quatriduano, morto Ludovico in quella lacrimosa rotta, che ricevè da Solimano