Pagina:Boccalini - Ragguagli di Parnaso I.djvu/142

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all’eterna infamia fosse condannato chi, avendo fatto l’indegnitá di adorare un suo servo, era indegno di vivere tra i virtuosi prencipi della corte febea. Allora il duce cosi cominciò la sua difesa: — Sire e padre de’ virtuosi, io talmente dalla fina corazza dell’innocenza ho armata la coscienza mia, e cosi son sicuro di essere in ogni mia azione vissuto virtuosamente, che son piú che certo di non aver in cosa alcuna demeritato appresso Vostra Maestá. Né lo sdegno suo, né questo precipitoso giudicio di veder che alla cognizione della causa preceda l’orrenda sentenza dell’infamia mia, mi spaventa punto: solo mi meraviglio di veder quello che io non ho creduto mai, che la bruttezza delle accuse, anco appresso ai tribunali giustissimi, come è questo, sia bastante a por in pericoli cosi gravi la riputazione de* miei pari. Ma mi quieto nella volontá di Dio, che sempre ha voluto che l’oro dell’innocenza altrui si raffini nel fuoco delle calunnie entro la coppella delle persecuzioni. Liberamente confesso alla Maestá Vostra di aver esaltato l’amico mio molto piú di quello che a lei hanno riportato i miei malevoli ; e in questa mia azione, che a Vostra Maestá tanto è stata riportata nefanda, questo solo a me duole, che con l’amico mio parmi di compitamente non aver esercitata tutta la virtú di quella gratitudine che egli ha meritata da me. E se quelli che accusano me e gli altri prencipi miei pari di prodigalitá, di balordaggine e di animo vile nato alla lordura di servir servidori, allora che veggono un cortigiano grandemente amato e premiato dal suo signore, non si lasciasser accecar dalla malignitá e dall’invidia, ma con animo non punto appassionato considerassero i meriti de’ favoriti di corte, virtuosa liberalitá chiamarebbono quella che battezzano per viziosa prodigalitá, debito di gratitudine quei doni che chiamano inconsiderati, e virtuosa affezione l’infamia che dánno loro d’idolatrar mignoni. Ma non è mestiere di domini dozzinali penetrare « abditos principis sensus, et si quid occultius parant » (0 : onde accade che gl’ignoranti con l’infamia d’uomini grandi pigliano cosi grossi errori, che chiamano vizio di animo abbietto il (1) Tacito, nel 6 libro degli Annali.