Pagina:Boccalini - Ragguagli di Parnaso I.djvu/331

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RAGGUAGLIO LXXXIX Niccolò Macchiavelli, capitalmente sbandito da Parnaso, essendo stato ritrovato ascoso nella biblioteca di un suo amico, contro lui vien eseguita la sentenza data prima del fuoco. Tutto che Niccolò Macchiavelli molti anni sono fosse sbandito da Parnaso e suo territorio con pena gravissima tanto a lui quanto a quelli che avessero ardito nella lor biblioteca dar ricetto ad uomo tanto pernicioso, la settimana passata nondimeno in casa di un suo amico, che secretamente lo teneva ascoso nella sua libraria, fu fatto prigione. Dai giudici criminali subito fu fatta la ricognizione della persona, e questa mattina contro lui doveva eseguirsi la pena del fuoco, quando egli fece intendere a Sua Maestá che prima gli fosse conceduto che avanti il tribunale che l’avea condannato potesse dire alcune cose in sua difesa. Apollo, usando verso lui la solita sua benignitá, gli fece sapere che mandasse i suoi avvocati, che cortesemente sarebbero stati ascoltati. Replicò il Macchiavelli che voleva egli difender la causa sua, e che i fiorentini nel dir le ragioni loro non avevano bisogno di avvocati. Di modo che li fu conceduto quanto domandava. Il Macchiavelli dunque fu introdotto nella quarantia criminale, dove in sua difesa ragionò in questo modo: — Ecco, o sire de’ letterati, quel Niccolò Macchiavelli, che è stato condannato per seduttore e corruttore del genere umano e per seminatore di scandalosi precetti politici. Io in tanto non intendo difendere gli scritti miei, che pubblicamente gli accuso e condanno per empi, per pieni di crudeli ed esecrandi documenti da governare gli Stati. Di modo che, se quella che ho pubblicata alla stampa è dottrina inventata di mio capo e sono precetti nuovi, dimando che pur ora contro di me irremessibilmente si eseguisca la sentenza che a’ giudici è piaciuto darmi contro: ma se gli scritti miei altro non contengono che quei precetti politici e quelle regole di Stato che