Pagina:Boccalini - Ragguagli di Parnaso I.djvu/68

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RAGGUAGLIO XXI Apollo per inanimire i senatori delle patrie libere a coltivar la libertá senza affettar la tirannide delle republiche, nell’anfiteatro di Melpomene fa rappresentare un sopramodo lacrimevole spettacolo. Perché Apollo fermamente crede che nelle patrie libere, piú che in altra spezie di governi, le leggi sieno dirette al ben comune degli uomini, che in esse gli animi de* cittadini piú si accendino ad intraprendere e ad eseguir opere virtuose e che piú vi fiorischino le scienze e ogni civil polizia, sommamente ha in abbominazione quei tiranni che commettono V eccesso di occupar la libertá di una ben ordinata república; come quelli che per mantenersi in una usurpata signoria, sono obbligati di odiare Paltò valore degli uomini grandi, e con la medesima severitá perseguitar l’eccellenti virtudi loro, con la quale i legittimi prencipi puniscono i vizi: e ancorché di genio sieno inclinati alPesercizio della clemenza, sono nondimeno forzati di esercitar la crudeltá e governar lo stato con termini viziosi; essendo verissimo che nemo unquam imperituri flagitio quaesitum bonis artibus exercíiit (0 . Sua Maestá dunque, affine di spaventar con la rappresentazione di uno spettacolo sopramodo miserabile i cittadini delle patrie libere dal commetter sceleratezza simile, ieri nel famosissimo teatro di Melpomene fece raunare i senatori tutti delle republiche residenti in questo stato: e poiché dall’altro lato del teatro ebbe fatto comparir Cesare il dittatore, vi fece entrar Attia di lui sorella, con Augusto suo nipote e Giulia di esso figliuola e i figli ch’ella ebbe da Marco Agrippa suo marito, Lucio e Caio Cesari, Agrippa Postumo, Giulia e Agrippina, con la numerosa prole che questa partorí al famosissimo Germanico suo marito. Lacrimevole e sopramodo miserabile spettacolo fu a Cesare il vedere che per la sua portentosa ambizione egli non solo a se stesso aveva cagionata morte sopramodo crudele, ma l’estinzion tutta del suo sangue seguita in tempo brevissimo: percioché cosa nel vero di molta pietá (1) Tacito, libro i delle Istorie.