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Pagina:Boccalini - Ragguagli di Parnaso II.djvu/263

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RAGGUAGLI DI PARNASO 255.

darsi, e che il seminar benefici e il raccòrre ingratitudine era il piú lugubre e lacrimevole esercizio che da qualsivoglia potesse esercitarsi mai, egli da Sua Maestá e da ogni altro animo virtuoso non solo meritava di esser con le lacrime compatito, ma aiutato col conseglio. E che, in quella sua orrenda mutazion di fortuna non solo dalle genti a lui ignote poco vedendosi onorato, ma da que’ suoi piú cari amici beneficiati trovandosi lacerato con le parole e molto schernito co’ fatti, da’ quali prima fino veniva adorato, gli era afflizione che tanto intensamente lo travagliava, che sufficiente non si conosceva a poter virtuosamente sopportare tanta e cosi strana metamorfosi. Che però, poiché egli era stato forzato di far il violente passaggio di cangiar il principato nella vita privata, il comandare nell’ubbidire, da Sua Maestá grandemente desiderava d’intendere il modoch’egli dovea tenere per poter in Laconia viver con qualche sua riputazione. A questa domanda brievemente rispose Apollo che nella corte romana, dove gli esempi tutti delle piú eroiche virtudi a maraviglia si vedevano singolari, s’informasse prima, e imitasse poi la magnanimitá e lo splendore del grande Odoardo cardinal Farnese, il quale, con una veramente regale generositá e profusa liberalitá usata verso ognuno, talmente di sé aveva innamorato la corte e la nobiltá tutta romana, il cuore della quale egli aveva nelle sue mani, che ora nell’altrui pontificato piú si vedeva amato, onorato, servito, che ne* tempi andati non fu il massimo Alessandro cardinale Farnese nel pontificato del generosissimo Paolo terzo suo zio. A questa risposta replicò^ quel prencipe che il conseglio datogli da Sua Maestá cosi era vero come a lui molto noto; ma che, la ricetta essendo di grandissimo dispendio, troppo gli pareva esser cara. Che però istantemente la supplicava ad insegnargliene un’altra di miglior mercato. Rise allora Apollo, e a quel prencipe liberamente disse che il pretendere di essere dalle genti amato, onorato e come prencipe grande corteggiato, seguitato e servito, e tener poi la borsa strettamente allacciata, la caneva chiusa, il granaio serrato col catorcio della sordidezza e con la chiave della pitoccheria, era vanitá maggiore che il pretendere di aprirsi la porta