Pagina:Boiardo - Orlando innamorato I.djvu/239

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[St. 59-62] libro i. canto xii 229

         E poi che per mitade ebbe sorbito
     Sicuramente il succo venenoso,
     A Tisbina lo porse sbigotito.
     Lui non è di sua morte pauroso1
     Ma non ardisce a lei far quello invito;
     Però, volgendo il viso lacrimoso,
     Mirando a terra, la coppa gli porse,
     E de morire alora stette in forse,

         Non del toxico già, ma per dolore,
     Che il venen terminato esser dovia.
     Ora Tisbina con frigido core,
     Con man tremante la coppa prendia,
     E biastemando la Fortuna e Amore,
     Che a fin tanto crudel li conducia,
     Bevette il succo che ivi era rimaso,
     Insino al fondo del lucente vaso.

         Iroldo se coperse il capo e il volto,
     E già con gli occhi non volìa vedere2
     Che il suo caro desio li fosse tolto.
     Or se comincia Tisbina a dolere,
     Chè non è il suo cordoglio ancor dissolto;
     Nulla la morte li facea, al parere
     Il convenirgli da Prasildo gire:
     Questa gran doglia avanza ogni martìre.

         Nulla di manco, per servar sua fede,
     A casa del barone essa ne è andata,
     E di parlare a lui secreto chiede:
     Era di giorno, e lei accompagnata.
     Apena che Prasildo questo crede,
     E fattosegli incontro in su la entrata,
     Quanto più puote, la prese a onorare,
     Nè di vergogna sa quel che si fare.

  1. P. Non essendo di morte.
  2. P. Perchè con.