[St. 39-42] |
libro ii. canto viii |
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L’aspra cornice di quel sasso altiero1
Con tal parole a lettre era intagliata:2
Tu che sei gionto, o dama, o cavalliero,
Sappi che quivi facile è la entrata,
Ma il risalir da poi non è legiero
A cui non prende quella bona fata,
Qual sempre fugge intorno e mai non resta,
E dietro ha il calvo alla crinuta testa.’3
Il conte le parole non intese,4
Ma passa dentro quella anima ardita,
E, come a ponto nel prato discese,
Voltando gli occhi per l’erba fiorita
Alto diletto riguardando prese;
Perchè mai non se intese per odita,
Nè per veduta in tutto quanto il mondo
Più vago loco, nobile e iocondo.5
Splendeva quivi il ciel tanto sereno,
Che nul zaffiro a quel termino ariva,
Et era d’arboscelli il prato pieno,
Che ciascun avea frutti e ancor fioriva.
Longe alla porta un miglio, o poco meno,
Uno alto muro il campo dipartiva,
De pietre trasparente e tanto chiare,
Che oltra di quello il bel giardino appare.
Orlando dalla porta se alontana,
E mentre che per l’erba via camina,
Vidde da lato adorna una fontana
D’oro e di perle e de ogni pietra fina.
Quivi distesa stavasi Morgana
Col viso al cielo e dormiva supina,
Tanto suave e con sì bella vista6
Che rallegrata avrebbe ogni alma trista.
- ↑ P. nero.
- ↑ T., Ml. e Mr. tagliata.
- ↑ P. Che sempre fugge intorno il piano e ’l monte E dietro è calva, e’ crini ha solo in fronte.
- ↑ P. Conte a.
- ↑ P. Più bel luogo di quel ni più.
- ↑ P. In così bello, in così dolce.