Pagina:Boiardo - Orlando innamorato II.djvu/169

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[St. 35-38] libro ii. canto ix 159

35 Io tengo, poverello! un monte apena,
     Chè altro al mondo non ho che Montealbano,
     Onde ben spesso non trovo che cena,
     S’io non descendo a guadagnarlo al piano;
     Quando ventura o qual cosa mi mena,
     Ed io me aiuto con ciascuna mano,
     Perch’io mi stimo che ’l non sia vergogna
     Pigliar la robba, quando la bisogna. -

36 Così parlando gionsero al portone,
     Che era la uscita fuor di quella piaccia;
     Quivi un gran vento dette al fio de Amone
     Dritto nel petto e per mezo la faccia,
     E dietro il pinse a gran confusïone,
     Longi alla porta più de vinte braccia.
     Quel vento agli altri non tocca nïente,
     E sol Ranaldo è quel che il fiato sente.

37 Lui salta in piede e pur torna a la porta,
     Ma come gionto fu sopra alla soglia,
     Di novo il vento adietro lo riporta,
     Soffiandolo da sè come una foglia.
     Ciascun de gli altri assai si disconforta,
     E sopra a tutti Orlando avea gran doglia,
     Però che de Ranaldo temea forte
     Che ivi non resti, o riceva la morte.

38 Il fio de Amone senza altro spavento
     Pone giù l’oro e ritorna alla uscita;
     Passa per mezo, e più non soffia il vento,
     E via poteva andare alla polita.
     Ma lui portar quello oro avea talento,
     Per dar le paghe a sua brigata ardita;
     Benchè più volte sia provato in vano,
     Pur vôl portarlo in tutto a Montealbano.

1. r. un nionU poverello. — 2. P. omm. Ch>.. — 3. P. Ove... trovo da. ^. P. procnrcinme. — 13. T. e MI. dietro. — 19. MI. e Mr. adetro («dentro*