[St. 7-10] |
libro ii. canto xxxi |
515 |
Alciando Feraguto il guardo altiero
A quel parlar cortese che ho contato,
Incontinente scorto ebbe il quartiero,
E ben se tenne alora aventurato,
Poi che la cima de ogni cavalliero
Aveva in quel boschetto ritrovato,
Parendo a lui de averlo a sua balìa
O de pigliarlo o farli cortesia.1
E fatto lieto, dove era dolente
Per quel bello elmo che è caduto al fondo,
— Non vo’, disse, dolermi per nïente
Più mai di caso che mi venga al mondo;
Perchè, dove io stimai de esser perdente,
Più contento mi trovo e più iocondo
Che esser potesse mai de alcuno acquisto,
Dapoi che ’l fior d’ogni barone ho visto.
Ma dimmi, se gli è licito a sapere:2
Perchè nel campo, ove è battaglia tanta,
Non te ritrovi a mostrar tuo potere,
Dove Ranaldo sol de onor si vanta?
Sopra di me ben l’ha fatto vedere,
Che son fatato dal capo alla pianta
Per tutti e membri, fora che un sol loco;
Ma ciò giovato me è nïente, o poco.
Nè credo che abbia il mondo altro barone
Qual superchi Ranaldo di valore,3
Benchè per tutto sia la opinïone
La qual ti tien di lui superïore;4
Ma se veder potessi il parangone
E provar qual di voi fosse il migliore5
Di fortezza, destrezza e de ardimento,6
E poi morissi, io moriria contento.
- ↑ P. balia, O de.
- ↑ P. se m’è; Ml. asapere.
- ↑ Ml. for chun; T. fora che un.
- ↑ Ml., Mr. e P. di lui ti tien.
- ↑ Ml., Mr. e P. il minore.
- ↑ Ml. e dardimento; P. ed ard.