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[St. 23-26] libro ii. canto iv 65

23 Dolce pianure e lieti monticelli
     Con bei boschetti de pini e d’abeti,
     E sopr’a verdi rami erano occelli,
     Cantando in voce viva e versi queti.
     Conigli e caprioli e cervi isnelli,
     Piacevoli a guardare e mansueti,
     Lepore e daini correndo d’intorno,
     Pieno avean tutto quel giardino adorno.

24 Orlando pur va drieto alla rivera,
     Ed avendo gran pezzo caminato,
     A piè d’un monticello alla costera
     Vide un palagio a marmori intagliato;
     Ma non puotea veder ben quel che gli era,
     Perchè de arbori intorno è circondato.
     Ma poi, quando li fu gionto dapresso,
     Per meraviglia uscì for di se stesso.

25 Perchè non era marmoro il lavoro
     Ch’egli avea visto tra quella verdura,
     Ma smalti coloriti in lame d’oro
     Che coprian del palagio l’alte mura.
     Quivi è una porta di tanto tesoro,
     Quanto non vede al mondo creatura,
     Alta da diece e larga cinque passi,
     Coperta de smiraldi e de balassi.

26 Non se trovava in quel ponto serrata,
     Però vi passò dentro il conte Orlando.
     Come fu gionto nella prima entrata,
     Vide una dama che avea in mano un brando,
     Vestita a bianco e d’oro incoronata,
     In quella spada se stessa mirando.
     Come lei vide il cavallier venire,
     Tutta turbosse e posesi a fuggire.