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stione ha avuta una parte d’immensa importanza nella storia dello spirito e della coltura, e nella sua maniera di considerarla si sono chiaramente rispecchiati i vari stadi di sviluppo dello spirito umano.
L’antichità classica non si è molto stillato il cervello sul problema del libero arbitrio. Poichè per l’antica concezione del mondo in generale non esistevano nè l’idea di infrangibili e vincolanti leggi naturali, nè quella di un assoluto governo del mondo20, così non c’era alcuna ragione di un conflitto fra il libero arbitrio e il concetto del mondo allora dominante. La scuola stoica credeva ad un Fato, e negava perciò il libero arbitrio; ma i moralisti romani, per necessità etica, lo rimettevano in piedi su una base ingenuamente soggettiva. «Sentit animus se moveri»: si dice nelle Toscolane21 «quod quum sentit, illud una sentit se vi sua, non aliena moveri»; e il fatalismo stoico fu deriso con aneddoti come quello dello schiavo di Zenone di Cizio che servendosi del fato per scusare il furto commesso, si sentì rispondere: Ebbene, era anche tuo fato venir bastonato. Una storiella che oggi ancora potrebbe servire al Bosforo dove alla Ἑιμαρμένη stoica è subentrato il Kismeth turco.
Fu il dogmatismo cristiano (per quanti elementi semitici ed ellenici si siano ad esso amalgamati) che con la questione del libero arbitrio si perdette nel più oscuro labirinto, scavandosi la fossa. Dai Padri della Chiesa e dai Scismatici, da Agostino e Pelasgio, passando per