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138 LUCIA


di Pescara ( 1 ); le franche rime dall’allieva del Bembo dirette ad usurpatori stranieri si commendavano assai (2); innalzavansi a cielo i soavissimi carmi di colei ch’ ebbe eguale ingegno, e non dissimile sorte della sventurata Saf fo (3): ogni labbro con fervido core applaudiva e ripeteva la energica preghiera della poetessa di Partenope (4); e nel tempo stesso Italia nostra proclamava pure stupende e degne di onore le poesie delle dotte bolognesi. Fra queste ebbersi grido di valenti rimatrici le patrizie donne, e Isabella Pepoli, e Ottavia Grassi, e Livia Pii, e tante e tante altre. Poetò allora in greco, in latino e in toscano Ippolita Paleotti; e Laura Gherardelli nella lingua del Lazio e nella propria. Dotte furono le prose dettate da Suor Febbronia Pannolini, ed elegantissimi i suoi carmi si in latino che in volgare. Un poema in quattro canti, sulla conversione di S. M. Maddalena, compose Maddalena Salaroli, riportandone generale encomi; e trattando lo stesso tema Suor Maria Ludovisi, intitolava Sacre Delizie molti suoi versi, de’ quali il patrio Instituto conserva il manoscritto. Andò «lodatissima da molti letterati la tragedia Celinda, scritta da Valeria Miani; ma troppo disvierebbe dall’ordine prefisso a quest’opera, il far menzione di tutte le illustre poetesse che nel cinquecento sorsero nella dotta città, le quali spesse fiate vestirono di non ispregevoli rime perfino il nativo vernacolo; ed è tempo di fermarsi intorno a colei che in tal secolo prima delle conciltadine sue comparve, e mantenne mai sempre il più luminoso posto. Ella nomossi Lucia Bertana; la quale, perchè divenuta moglie a Gerone Bertani gentiluomo di Modena, fu creduta e detta da molti scrittori Modenese ancor essa; fino a che il Tiraboschi la rivendicò a Bologna, ov’era nata dalla famiglia Dall’Oro nel 1521 (5), come pure fa di ciò fede