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breve spazio m’usurpi. Anch’egli vٍlse,
de la vittoria altrui
cortese spettator, più che non debbe,
tenere a pro del generoso Ebreo,
fatto quasi scudiero, in man la face.
Ma dee qui forse a la notizia altrui
di me, si come oscura è la sembianza,
oscuro esser ancor lo stato e ? nome.
Chiunque aver desia
di mia condiz’ion piena contezza,
questa bruna quadriga
miri, e questi aurei fregi, e saprà poi
quale e quanta i’ mi sia. M’appella il vulgo
d’incanti empia nudrice,
e d’errori e d’orror madre infelice.
Io mi son perٍ quella
genitrice de’ vezzi,
sopitrice de’ mali,
dispensiera de’ sogni,
quiete universal: quella mi sono
gran reina dell’ombre, alta guerriera,
che sotto la mia duce,
che guernita si mostra
d’inargentato arnese,
eserciti di stelle intorno accampo,
e di tenebre armata il giorno uccido.
Indi del giorno ucciso,
su questo carro eccelso,
coronata di lumi,
per gli spazi del ciel trionfo altera:
quella, ch’apro a’ mortali
tra le miniere de’ zaffiri eterni
di piropi immortali ampi tesori,
e diviso un sol foco in più faville,
d’un sol ne faccio mille.
Notte, notte figliuola