Pagina:Botta - Supplemento alla Storia d'Italia.djvu/100

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devo avvisarvene, e lo devo alla vostra gloria e sopratutto (ciò che ci serve di regola comune) al bene della Repubblica che noi serviamo. In questo stato di cose, allorchè noi sappiamo, come vi ho mandato a dire, che il ministro delle relazioni estere tratta da per sè l’affare di Genova con lo Spinola; allorchè ho informato il Direttorio della maniera vigorosa con la quale il Governo genovese ha chiuso i suoi porti agl’Inglesi, prevenendolo che vi scriva e pregandolo a rispondermi; allorchè infine il decreto del 29 messidoro, ha tre mesi di data, e che tanti avvenimenti importanti sono in seguito accaduti, dobbiamo noi forse tentare un’impresa cotanto azzardata, senza nuovi ordini espressi, e formali? La mia opinione, Generale, è per la negativa. Così devo pensare, poichè, vista la disposizione degli spiriti a Genova, e vista l’impotenza in cui vi trovate di salvare la vostra artiglieria, non posso dissimularmi che questa intrapresa sarà senza effetto.

Il Cittadino Lacheze, che vi invio, vi darà su tal proposito degli schiarimenti importanti, che mi posso risparmiare nella presente lettera. Non vi parlerò delle difficoltà dei trasporti, e degli approcci che di già la stagione moltiplica, e che voi avrete potuto contare per nulla, nella ipotesi di un esito istantaneo, che io ancora, sei giorni sono, supponeva possibile, ma che non lo è più. Se persistete, nel medesimo tempo vi troverete da dovere assediare Genova e Mantova. Credo dunque indispensabile, mio Generale, di mutar piano. E’ meglio, profittando dell’agitazione nella quale si trovano i Collegj, tentare di ottenere successivamente alcuni punti interessanti, che volere tutto ottenere, e perder tutto ad un tratto. Finalmente il Direttorio, o il ministro degli affari esteri risponderà, e noi sapremo ciò che sarà stato concluso coll’inviato Spinola.

Poussielgue sarà forse partito quando riceverete la mia lettera; ma siccome Lacheze sarà forse tornato in sessanta ore, nulla farò prima del suo ritorno. Io non sono timido di mia natura, mio caro Generale, e voi sapete, che desidero, più che tutt’altro, che la Francia ottenga da Genova tutti i risarcimenti che gli sono dovuti; ma ho