Pagina:Brambilla - Sopra le Odi di Orazio tradotte da Mauro Colonnetti.djvu/5

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A GIOVANNI ADORNI


DA PARMA.

È verissimo, o mio caro Giovanni, quel che disse un poeta; cioè che anche i libri hanno la loro stella: perchè molti non sono in quella universale estimazione, in che vorrebbero esser tenuti; ad altri succedette fama a’ loro meriti molto superiore. Della quale stranezza non iscarsi esempj ti potrei dire, s’egli stesse bene di farlo. Ma un esempio chiarissimo è la traduzione delle Odi d’Orazio del signor Tommaso Gargallo; la quale da molti è avuta in prezzo di buona e forse eccellente, dove sembra a molt’altri non pur lontana dall’eccellenza, ma poco surta fuori dalla mediocrità. Capisco bene che per non parerne migliore alcun’altra innanzi di questa, le fu conceduto (massime dagli ordinarj maestri della rettorica, per lo più simiglianti alle pecorelle dantesche) la palma sopra tutte le antecedenti; ed io, stringendomi nelle spalle, non le invidierò questo onore. Ma il povero Flacco ebbe la disgrazia, comune alla massima parte degli scrittori latini, di aver avuto in Italia traduttori o mediocri o cattivi; sicchè il vincer la generazione de’ cattivi e de’ mediocri essendo fatica poco lodevole, il signor Gargallo, per la facile vittoria, non può andar glorioso, come vorrebbe, non egli, ma chi ha manco giudizio di lui. Ogni scrittore buono ha certe particolarità, che danno una propria stampa al suo stile; alle quali bisogna che abbia fino riguardo chiunque si conduca a tradurre; al modo che un valente ritrattista pone l’occhio, non che ad altro, alla incarnazione de’ volti. E come non sarebbe ritratto sincero quel, che, imitando pure le fattezze di essi, facesse bianco del bruno, o smorto del rubicondo; così senza dubbio si rimane illaudata quella traduzione che esprima la verità de’ concetti di un autore, senza ritrarne l’imagine dello stile e della favella. Forse dirai: se queste due cose vi sono come che sia manchevoli e difettose; non è prudente consiglio rifiorirle in istato di miglior condizione? Quanto alla lingua rispondo del sì, perchè questa rappresenta l’universale, non l’individuo; quanto allo stile, rispondo a viso aperto del no, perchè questo ritrae l’indole propria dello scrittore; e mutando l’uno, si viene a mutare ancor l’altra. Dimmi in buon’ora: chi traslatasse Cicerone con istile nervoso, stringato e, dirò, brusco; o Tacito con facile, ampio e diffuso, costui ci farebbe conoscere la natura di que’ due sommi? Chi non conservasse a Seneca que’ suoi nodi e scorci e scollegamenti, e quella vena che sa del poetico, e lo fa singolare da tutti i prosatori del Lazio, ci darebb’egli il ritratto di Seneca? Non crederei già io per affermarmelo mille; chè chi riforma non traduce, ma crea. Sia pur bello e utile castigare lo stile di uno scrittore quale si voglia: ma questo ripiego sarà simile all’usato da