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128 rime (268)

 Io tengo un calabron in un orciuolo,
in un sacco di cuoio ossa e capresti,35
tre pilole di pece in un bocciuolo.
  Gli occhi di biffa macinati e pesti,
i denti come tasti di stormento
c’al moto lor la voce suoni e resti.
  La faccia mia ha forma di spavento;40
i panni da cacciar, senz’altro telo,
dal seme senza pioggia i corbi al vento.
  Mi cova in un orecchio un ragnatelo,
ne l’altro canta un grillo tutta notte;
né dormo e russ’ al catarroso anelo.45
  Amor, le muse e le fiorite grotte,
mie scombiccheri, a’ cemboli, a’ cartocci,
agli osti, a’ cessi, a’ chiassi son condotte.
  Che giova voler far tanti bambocci,
se m’han condotto al fin, come colui50
che passò ’l mar e poi affogò ne’ mocci?
  L’arte pregiata, ov’alcun tempo fui
di tant’opinïon, mi rec’a questo,
povero, vecchio e servo in forz’altrui,
  ch’i’ son disfatto, s’i’ non muoio presto.55


268

 
  Perché l’età ne ’nvola
il desir cieco e sordo,
con la morte m’accordo,
stanco e vicino all’ultima parola.
L’alma che teme e cola5
quel che l’occhio non vede,
come da cosa perigliosa e vaga,
dal tuo bel volto, donna, m’allontana.
Amor, c’al ver non cede,
di nuovo il cor m’appaga10