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140 | rime | (298) |
la morte già vicina nol concede,
né freno il mal voler da quel ch’e’ volle.
298
Non fur men lieti che turbati e tristi
che tu patissi, e non già lor, la morte,
gli spirti eletti, onde le chiuse porte
del ciel, di terra a l’uom col sangue apristi.
Lieti, poiché, creato, il redemisti5
dal primo error di suo misera sorte;
tristi, a sentir c’a la pena aspra e forte,
servo de’ servi in croce divenisti.
Onde e chi fusti, il ciel ne diè tal segno
che scurò gli occhi suoi, la terra aperse,10
tremorno i monti e torbide fur l’acque.
Tolse i gran Padri al tenebroso regno,
gli angeli brutti in più doglia sommerse;
godé sol l’uom, c’al battesmo rinacque.
299
Al zucchero, a la mula, a le candele,
aggiuntovi un fiascon di malvagia,
resta sì vinta ogni fortuna mia,
ch’i’ rendo le bilance a san Michele.
Troppa bonaccia sgonfia sì le vele,5
che senza vento in mar perde la via
la debil mie barca, e par che sia
una festuca in mar rozz’e crudele.
A rispetto a la grazia e al gran dono,
al cib’, al poto e a l’andar sovente10
c’a ogni mi’ bisogno è caro e buono,