Vai al contenuto

Pagina:Buonarroti, Michelangelo – Rime, 1960 – BEIC 1775670.djvu/35

Da Wikisource.
(54) rime 29

Or si fa ’l nome, o per tristo o per buono,
e sassi pure almen che i’ ci sono.
     Tu m’entrasti per gli occhi, ond’io mi spargo,
come grappol d’agresto in un’ampolla,
che doppo ’l collo cresce ov’è più largo;75
così l’immagin tua, che fuor m’immolla,
dentro per gli occhi cresce, ond’io m’allargo
come pelle ove gonfia la midolla;
entrando in me per sì stretto vïaggio,
che tu mai n’esca ardir creder non aggio.80
     Come quand’entra in una palla il vento,
che col medesmo fiato l’animella,
come l’apre di fuor, la serra drento,
così l’immagin del tuo volto bella
per gli occhi dentro all’alma venir sento;85
e come gli apre, poi si serra in quella;
e come palla pugno al primo balzo,
percosso da’ tu’ occhi al ciel po’ m’alzo.
     Perché non basta a una donna bella
goder le lode d’un amante solo,90
ché suo beltà potre’ morir con ella;
dunche, s’i’ t’amo, reverisco e colo,
al merito ’l poter poco favella;
c’un zoppo non pareggia un lento volo,
né gira ’l sol per un sol suo mercede,95
ma per ogni occhio san c’al mondo vede.
     I’ non posso pensar come ’l cor m’ardi,
passando a quel per gli occhi sempre molli,
che ’l foco spegnerien non ch’e’ tuo sguardi.
Tutti e’ ripari mie son corti e folli:100
se l’acqua il foco accende, ogni altro è tardi
a camparmi dal mal ch’i’ bramo e volli,
salvo il foco medesmo. O cosa strana,
se ’l mal del foco spesso il foco sana!