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le consuete pratiche, segnatamente del sequestro degli infetti, fu scelto l'oratorio di S. Gregorio per trasportarvi li tifosi e si assegnò pei meramente sospetti l'ospitaletto della Madonna in Prato.

Ricomparve nell'anno successivo, e in allora i malati, che non potevano essere curati nelle proprie famiglie senza pericolo di difundere il miasma, si trasportavano a mano a mano all'Ospitale Maggiore di Milano: li altri erano assuggettati a rigoroso sequestro nelle case rispettive. A malgrado di questi provedimenti il male continuava a propagarsi, e nel mese di ottobre del 1816 li attaccati ammontarono a 25. Per altro il carattere di tal febre si mantenne benigno; giacchè perdette la vita un solo individuo e questi per gravissima complicazione di mali.

Il medico Giuseppe De Filippi1, recatosi in luogo per incarico governativo, riferì alla Delegazione Provinciale il 29 di novembre del 1816 che il malore si limitava tra i più miserabili tessitori e contadini. Perlochè, afferma egli, “si può stabilire che il contagio non ha forza di superare la reazione vitale negli individui ben nutriti e robusti e che vi si richiede una speciale predisposizione per contrarlo. È pure degno di riflesso che il contagio ha finora rispettato tutta la porzione della borgata che giace al nord ed all'est e che di preferenza si è manifestato nella contrada posta verso il mezzogiorno, non molto lungi dalla chiesa che nell'anno scorso servì di ospedale durante la stessa malatia contagiosa. Per altro è sommamente difficile di determinare la vera provenienza di questo tifo, giacchè varj altri Communi non

  1. Fu chirurgo in capo dell'esercito italiano e cavaliere della Corona Ferrea.