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Scaturisce spontaneo dall’indole speciale di quei tempi, che il numero degli abitanti di Busto fosse di lunga mano inferiore a quello d’oggidì. Nè potè risorgere durante il dominio de’ Longobardi e de’ Carolingi, nè dei molti principi che si disputarono il regno d’Italia, sino a Federico Barbarossa; causa la crassa ignoranza che vi dominava congiunta al più deplorabile disordine sociale. E invero non trovasi alcuna notizia di fatti che tramandassero cara ed onorata ai posteri la memoria dei Bustesi. I quali in allora, come tutti li altri terrieri, tenevano in conto di prodezze quelle scaramucce che nascevano per leggiere e vili cagioni coi circonvicini, e si riducevano a reciproci guasti e saccheggi, attestatori della profonda avversione ch’era fra loro. Certo anche i Bustesi saranno stati colpiti dalle communi sventure che afflissero le terre consorelle durante que’ secoli tempestosi, e perciò avranno ben presto riconosciuto il bisogno di erigere un castello, che non tardò infatti a comparire, dove or sorge la chiesa parochiale di S. Michele. Non era cosa singolare per que’ tempi, giacchè quasi tutti i villaggi della nostra campagna si munirono allora di castelli per le frequenti invasioni dei Barbari in Italia. Se bene io non abbia potuto scoprire quali fossero i primi che avessero in Busto signoria, un anonimo scrittore (che io credo Gian Alberto Bossi) pretende, che il borgo sia stato suggetto ai Crispi, i quali vi tenessero un grande castello. Ecco le sue parole, a cui ciascuno potrà dare quel valore che la critica d’oggidì concede:

Quin etiam ex domibus Romanis, Crispe Sallusti,
Crispa domus tua restat adhuc, et manet in urbe
Nunc etiam nostra, Romana sicut in urbe,
Sed Busti plures ex illa, ubi prorsus aperto
Aeris in campo castrum prægrande tenebat,
Restat adhuc turris sine vertice trunca vetusto,
Parvula, cui tantum non eminus adiacet ædes
Aucta sacræ matri valide monumenta ruinæ.