Pagina:Cagna - Un bel sogno, Barbini, Milano, 1871.djvu/112

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Se mia nipote Letizia fosse qui, Laura ritornerebbe allegra.

— A proposito, mio cognato, sta bene? chiese ella volgendosi ad Ermanno.

— Credo di sì, dico credo, perchè da varii giorni non vidi più nessuno de’ suoi parenti.

— Ma questa Laurina, che fa? domandò Paolo.

— Non tarderà molto, rispose madama Ramati guardando verso la porta.... Eccola!

Difatti Laura apparve sulla soglia raggiante di gioja; appena s’incontrò in Ermanno, arrossì fin nel bianco degli occhi, e con uno slancio alquanto imprudente corse a stringere quella mano che egli le aveva stesa. — Tutto ciò senza pronunziar parola, e d’altronde noi non sapremmo trovare espressione più eloquente di quella stretta di mano fra due esseri divisi per tanto tempo che nella gioja dell’incontro non trovano miglior accento di un rapido sguardo in cui si compendiano tutti gli affanni del passato.

Paolo frattanto aveva destramente attirata a sè l’attenzione di madama, epperciò quel silenzio traditore di Ermanno e Laura passò inosservato.

Era degna di rimarco la metamorfosi operatasi in Laura. Pochi giorni erano scorsi appena dacchè ella aveva abbandonato Brescia, eppure in sì breve tempo la giovinetta aveva subita una trasformazione ben strana. — Quel senso delicato, fino e soave che si chiama amore, aveva impresse delle traccie visibili in tutta la di lei persona: non era più la ragazza ingenua di pochi giorni prima che Ermanno si vedeva innanzi, ma la donna nel suo più voluttuoso concetto, nel suo pieno sviluppo.

Quell’eterno sorriso di soddisfazione che le brillava nello sguardo, aveva lasciato il passo ad una espressione di languore vago ed indefinibile, che rivelava