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Pagina:Calani - Il Parlamento del Regno d'Italia.pdf/305

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calunnie, e le immeritate contumelie. Nel modo stesso in cui, al dire di Marmont, a Politza, l’annuo governo del paese si confidava per ordinario all’ambizioso che aveva in dato giorno ed a una data ora maggiore audacia e sotto una grandine di sassate s’impadroniva d’una scatola di ferro acchiudente la carta dei privilegi, così nei governi parlamentari non può acquistar fama duratura, nè diritto alla riconoscenza e al rispetto di tutti colui, cui sia per far difetto il coraggio civile, un imperturbabile buon senso, la costanza dell’anima, e l’energia del carattere.

«Il Galvagno nella sua vita politica ha fatto vedere com’egli non fosse sprovvisto di qualità sì preziose. Eletto deputato al Parlamento nella prima legislatura del 1848, non tardò a distinguersi qual uomo dotato di saggezza politica, principale qualità d’uno statista, e per quel buon senso, che il Thiers chiamava un giorno alla tribuna il genio dell’epoca, e che il Guizot nel suo discorso sull’istoria della rivoluzione d’Inghilterra definisce «l’intelligenza politica dei popoli liberi.»

Nella questione della fusione della Lombardia col Piemonte, il Galvagno fu dello stesso avviso dei Pinelli, dei Cavour e delli Sclopis. Dal momento dell’apertura del Parlamento, ei votò costantemente col partito chiamato allora conservatore moderato e che più tardi assunse il nome di destra pura.

Si fu lui che, d’accordo col Boncompagni e il Ferraris, propose alla Camera, il 20 giugno del 1848, che si accordasse temporariamente al re il potere dittatoriale, affine di togliere ogni sorta d’impaccio all’incedere del governo, che aveva bisogno di unità nel comando dinanzi all’armata vittoriosa del maresciallo austriaco. Durante l’armistizio Salasco il Galvagno appoggiò la nuova amministrazione presieduta dal Perrone, e si oppose vivamente alla dichiarazione della seconda guerra dell’indipendenza.

Chiamato dalla fiducia del re Vittorio Emmanuele alle funzioni di ministro, subito dopo il disastro di Novara, allorchè a buon dritto il banco ministeriale potea nomarsi il banco del dolore, egli volse ogni suo sforzo a rassodare le basi dell’edificio costituzionale.