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Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/189

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     Men vo là dove mi dannasti, e dove
     È quel comune agli amator rimedio,
     Siccome è fama, la gran via di Lete.
     Ma quand’io tutto ancor me l’assorbissi,
     Non però fora il mio desir estinto.
     Or lascio alle tue porte un lungo addio.
     Veggio ben l’avvenir. Vaga è la rosa,
     E il tempo l’avvizzisce; la viola
     Di primavera è bella, e presto invecchia.
     Candido è il giglio, e al suo cader marcisce.
     Bianca è la neve, e dopo il gel si squaglia.
     Vezzosa ancora è giovenil bellezza;
     Ma ha corta vita. Verrà ben quel tempo,
     Quando amerai tu pur, quando arso il core
     Verserai pianti amari. Ah! questo almeno,
     Fanciul, non mi negar favore estremo.
     Quando all’uscir di casa mi vedrai
     Sull’antiporto appeso, ah! non fuggire
     Questo meschin, ma ti sofferma, e piangi
     Un breve istante, e sovra me versate
     Due lagrimette, scioglimi dal laccio:
     Per entro alle tue vesti mi rinvolgi,
     E copri, e dona a me l’ultimo bacio.
     A me spento non nieghino tal grazia
     Le labbra tue. Non dubitar che in vita
     Non verrò, se a baciarmi ancor ti pieghi.
     Scava una tomba, che il mio amor ricopra:
     E nel partir dimmi tre volte: Amico,
     Ora ten giaci: e questo pur, se il vuoi:
     Perduto ho il caro amico. E scrivi ancora
     Il motto, ch’io ti lascio espresso in versi.
     „Questo infelice, o passeggiero, è stato
     „da Amore ucciso. Tu sofferma il passo,
     „E di’ pietoso: questi amò un ingrato.
     Ciò detto, prende uno scannel di pietra,
     E accosto al muro pianta il crudo sasso