Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/219

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     L’ire, e ingannar la tenerella mente
     Della vergin, celò suo Nume, e corpo
     100Mutato si fe’ toro, non già quale
     S’impingua entro le stalle, o qual tirando
     L’aratolo ricurvo i solchi fende,
     O qual si pasce infra gli armenti, o quale
     Trae col giogo sul collo onusto carro.
     105Biondo era tutto, se non che lucea
     Nel mezzo della fronte un cerchio bianco;
     Folgoravan d’amor gli occhi cilestri;
     Spuntavangli le corna sulla testa
     Pari fra lor, come crescente luna,
     110Che in mezzo cerchio le sue corna incurva.
     Entrò nel prato, e il suo venir non feo
     Spavento alle donzelle. A tutte in core
     Destossi amor d’avvicinarsi a lui,
     E di palpar l’amabile giovenco,
     115Lo cui divino odor lunge diffuso
     Vincea del prato l’olezzar soave.
     Esso a’ piè della bella oltre ogni segno
     Europa si ristette: il collo a lei
     Lambiva e l’adescava. Ella il venìa
     120D’intorno palpeggiando, e dolcemente
     Con le man dalla bocca a lui tergendo
     La molta spuma, ed il baciava intanto.
     Ei sì dolce muggìa, che detto avresti
     Udir migdonio flauto modulante
     125Uno stridulo suono. Indi a’ suoi piedi
     Chinò i ginocchi ed a lei vôlto il collo
     La rimirava, e l’ampio dorso offrìa.
     Alle giovani allor di lunghe trecce
     Ella sì prese a dir: Fide compagne,
     130Deh! sagliamo a seder su questo toro,
     Che bel piacer n’avremo. Ei teso il dorso
     Ben tutte ci accorrà qual navicella.
     Come al vederlo, è mansueto e blando!