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170La tua grata bevanda? e qual dall’onde
Cibo n’aspetti? Sei tu forse un Dio?
Perchè fai tu quel, che agli Dii sconviene?
Nè i marini delfin sopra la terra,
Nè i giovenchi passeggiano su l’onde.
175Ma tu scorri del par la terra, e il mare
Senza bagnarti, e l’unghie ti son remi.
Forse aleggiando ancor per l’aere azzurro
Qual augello veloce in alto andrai?
Ahimè, tapina, ahimè! che il patrio tetto
180Abbandonato un navigar sì strano
Smarrita, e sola fo in balìa d’un bue.
Ma tu, che al bianco mar, Nettuno, imperi,
A me propizio accorri; e ben io spero
Di veder te, che mi sei scorta e duce
185Al viaggiar. Non certo senza un Nume
Solcando vo quest’umidi sentieri.
Tal disse; e il bue di corna ampie fornito
A lei prese a parlar: Fa cuor fanciulla:
No, l’onde non temer. Giove son io,
190Che da vicin di toro ho le sembianze,
E ben posso apparir qual più m’aggrada.
Ora l’amor di te sì lungo mare
In cotal forma a misurar mi spinse.
Te Creta or accorrà, che me nutrìo:
195Quivi tue nozze appresteransi, e quivi
Di me tu produrrai famosi figli,
Che su tutti i mortali avran lo scettro.
Disse; e l’effetto al suo parlar rispose.
Apparì Creta. Giove si converse
200In altre forme, e le disciolse il cinto.
L’Ore il letto acconciaro. Ella, che stata
Era pulcella infino allor, repente
Divenne sposa, ed al Saturnio Giove
Generò figli, e fu ben tosto madre.