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e si diede tutta al disegno e al dipingere. Lavorava tutto il giorno; e quando si accendevano i lumi, ella lasciava con dispiacere i suoi pennelli e le sue matite. Si recava allora in mano lo sbozzatoio, e modellava la cera e la creta fino ad un’ora inoltrata della notte.

È notevole ch’ella non indovinò alla prima il genere in cui sarebbe riuscita. Ella andava tutte le mattine al Louvre a copiare i capolavori dei pittori italiani, i quadri di Rubens, di Poussin, di Lesueur; disegnava dai marmi antichi, e spregiava il naturalismo olandese. Trascurava le tele di Paul Potter, i paesaggi di Ruysdâel, i cieli limpidi di Carlo Dujardin. Dopo quattr’anni di questi forti studi, s’avvide che nè la pittura storica, nè la pittura di genere si af- facevano al suo ingegno, e ch’ella era nata a pingere paesi ed animali.

Allora aspirò a farsi un serraglio di modelli bestiali: e raccolse due cavalli, cinque capre, un bue, una vacca, degli asini, dei montoni, dei cani, dei volatili, e sopratutto, uscendo di Parigi, andò in cerca di prospettive singolari.

Ella percorse poi i Pirenei, la Spagna e le provincie più pittoresche di Francia. Nè subito tratteggiava le viste che le si affacciavano. Come Claude Lorrain, ella fida nella potenza e sicurezza della sua memoria. Curioso è che una sua lettrice, madamigella Mias, che ha una singolare potenza di magnetizzare e domare con gli sguardi gli animali, le tenea fermi con la sua potenza quelli ch’ella voleva ritrarre.

Ella cominciò a farsi nome nel Salone del 1841, dove espose due quadri Chèvres et Moutons e Deux Lapins, e continuò nella sua ricca fecondità. In otto anni espose tren-