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78 | Donne illustri. |
alla sincera pietà di lei, morsa invano dall’Aretino, che anch’egli volle scrivere cose spirituali, e furono, come d’impenitente, vere bestemmie e profanazioni. Nelle chietine braccia Vittoria non accoglieva che il Crocefisso; nè cantava per aver fama:
Ma dal foco divin che ’l mio intelletto
Sua mercè, infiamma, convien ch’escan fuore
Mal suo grado talor queste faville.
E s’alcuna di loro un gentil core
Avvien che scaldi, mille volte e mille
Ringraziar debbo il mio felice errore.
Piuttosto si desidererebbe che Vittoria avesse pregato un poco pel perdono delle ferocie adoperate in guerra dall’estinto consorte: ma la necessità del mestiere e il pensare del tempo (dal quale ora il nostro non può vantarsi più di svariare di molto) non le facean parer gravi quelle immanità, sebben commesse contr’Italiani; come il sacco di Como, violando la data promessa di risparmiarlo, e quello di Genova. Anzi, quando mostrava, per la speranza della corona di Napoli, intendersi coi principi italiani a liberare’ la patria dell’oppressione spagnuola e tedesca, Vittoria lo consigliò a tener fede a Carlo V. E qui non vogliamo scusarla, se già per fino accorgimento di donna non vedesse il pericolo e forse la vanità dell’impresa, e pretessesse ragioni di onore e di fedeltà all’interesse ed alla sicurezza dell’uomo adorato.
Ma torniamo alle rime spirituali, a cui ella volea convertire quel pagano del Bembo, e ci pare che i concenti angelici siano ben descritti in questo sonetto.