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E il Campanella:
— Ne voglio fare allo nunzio mò.
— Si, cor mio. Però fammi una grazia: fa’ li mei prima, cioè quelli che voglio per Ferrante mio fratello, e poi fa’ quelli del nunzio.
— Va’ te riposa, bona sera1.
Ma questa, conquistata attraverso una specie di circolo d’iniziati, non poteva essere che una fama locale in una cerchia ristretta, checché dicesse l’entusiasta fra Pietro — con una di quelle allucinazioni cosí comuni tra prigionieri — di avere sparso le poesie per tutta Napoli, dal fondo della sua cella.
È bensí vero che la biografia poetica del Campanella non comincia da Castel nuovo. Anche senza tener conto di quelle giovanili esercitazioni in metri latini su argomenti filosofici, che dal lato dell’arte non dovevano avere nessun valore e che per altro sono andate disperse (vedi appresso, pp. 285-286), noi possediamo alcuni residui della sua attivitá poetica nel tempo della precedente prigionia presso il S. Uffizio in Roma (1594-5) e nei due anni che seguirono (vedi p. 286). Ma a Roma anche piú che a Napoli la sua poesia serpeggiava clandestina e il piú spesso si acconciava a nascondere la sua vera paternitá ed a parlare in nome altrui.
Perché la sua fama poetica cominciasse a fare veramente i primi passi nel mondo bisognò che fosse portata oltre la cinta dei castelli napoletani. E ciò avvenne in seguito ad un concatenamento di fatti, che presero le mosse da un incontro fortuito.
Dei due processi, ai quali fu sottoposto il Campanella, l’uno, quello politico, non si chiuse mai, l’altro, quello d’eresia, si chiuse davanti al tribunale del S. Uffizio il 29 novembre 1602 con la condanna al carcere perpetuo nelle prigioni della congregazione in Roma. Ma poiché pendeva su di lui il processo del tribunale laico di uno stato estero, la sentenza riceveva una parziale modificazione nel senso che il condannato rimaneva affidato al potere giudiziario di quello fino alla chiusura del procedimento, e sotto la sorveglianza del nunzio pontificio presso il governo vicereale di Napoli. Questa complicata situazione giuridica, che in seguito fu causa di non pochi affanni pel povero prigioniero, in un primo
- ↑ Am. T. C., III, p. 328: il son. pel nunzio, cioè da inviare al papa, è forse il n. 21 della Scella; quello sollecitato da fra Pietro è certo il n. 20.