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XIII. LA SERÀ DEL DÌ DI FESTA.


Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa Ta luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia.
3 Ci tace ogni sentkro, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa
Tu dormi, che t accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze e non ti morde
Cura nessuna e già non sai nè pensi
o Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi io questo del, che si benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E antica natura onnipossente,
Che mi fece aIl affanno. A te la speine
i’ Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo di fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e Forse ti rimembra
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch’io speri.
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e frerno. Oh giorni orrendi
In così verde etate I Ahi, per la via
‘e