Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu/114

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104 i. canti

55né tornasse a veder l’amara luce!
E spesso al suon della funebre squilla,
al canto che conduce
la gente morta al sempiterno obblio,
con piú sospiri ardenti
60dall’imo petto invidiò colui
che tra gli spenti ad abitar sen giva.
Fin la negletta plebe,
l’uom della villa, ignaro
d’ogni virtú che da saper deriva,
65fin la donzella timidetta e schiva,
che giá di morte al nome
sentí rizzar le chiome,
osa alla tomba, alle funeree bende
fermar lo sguardo di costanza pieno;
70osa ferro e veleno
meditar lungamente,
e nell’indotta mente
la gentilezza del morir comprende.
Tanto alla morte inclina
75d’amor la disciplina. Anco sovente,
a tal venuto il gran travaglio interno
che sostener nol può forza mortale,
o cede il corpo frale
ai terribili moti, e in questa forma
80pel fraterno poter Morte prevale;
o cosí sprona Amor lá nel profondo,
che da se stessi il villanello ignaro,
la tenera donzella
con la man violenta
85pongon le membra giovanili in terra.
Ride ai lor casi il mondo,
a cui pace e vecchiezza il ciel consenta.

     Ai fervidi, ai felici,
agli animosi ingegni