Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu/44

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34 i. canti

55Dafne o la mesta Filli, o di Climene
pianger credé la sconsolata prole
quel che sommerse in Eridano il Sole.

     Né dell’umano affanno,
rigide balze, i luttuosi accenti
60voi negletti ferîr, mentre le vostre
paurose latèbre Eco solinga,
non vano error de’ venti,
ma di ninfa abitò misero spirto,
cui grave amor, cui duro fato escluse
65delle tenere membra. Ella per grotte,
per nudi scogli e desolati alberghi,
le non ignote ambasce e l’alte e rotte
nostre querele al curvo
Etra insegnava. E te d’umani eventi
70disse la fama esperto,
musico augel, che tra chiomato bosco
or vieni il rinascente anno cantando,
e lamentar nell’alto
ozio de’ campi, all’aer muto e fosco,
75antichi danni e scellerato scorno,
e d’ira e di pietá pallido il giorno.

     Ma non cognato al nostro
il gener tuo; quelle tue varie note
dolor non forma, e te, di colpa ignudo,
80men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi, ahi! poscia che vòte
son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono,
per l’atre nubi e le montagne errando,
gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
85in freddo orror dissolve; e poi ch’estrano
il suol nativo, e di sua prole ignaro,
le meste anime edúca;
tu le cure infelici e i fati indegni,