Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu/54

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44 i. canti

     25Oh, come viva in mezzo alle tenèbre
sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
la contemplavan sotto alle palpèbre!
     oh, come soavissimi diffusi
moti per l’ossa mi serpeano! oh, come
30mille nell’alma instabili, confusi
     pensieri si volgean! qual tra le chiome
d’antica selva zefiro scorrendo,
un lungo, incerto mormorar ne prome.
     E mentre io taccio, e mentre io non contendo,
35che dicevi, o mio cor, che si partía
quella per che penando ivi e battendo?
     Il cuocer non piú tosto io mi sentía
della vampa d’amor, che il venticello
che l’aleggiava volossene via.
     40Senza sonno io giacea sul dí novello,
e i destrier, che dovean farmi deserto,
battean la zampa sotto al patrio ostello.
     Ed io, timido e cheto ed inesperto,
ver’ lo balcone al buio protendea
45l’orecchio avido e l’occhio indarno aperto,
     la voce ad ascoltar, se ne dovea
di quelle labbra uscir, ch’ultima fosse;
la voce ch’altro il cielo, ahi! mi togliea.
     Quante volte plebea voce percosse
50il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
e il core in forse a palpitar si mosse!
     E poi che finalmente mi discese
la cara voce al core, e de’ cavai
e delle rote il romorio s’intese;
     55orbo rimaso allor, mi rannicchiai
palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
strinsi il cor con la mano, e sospirai.
     Poscia traendo i tremuli ginocchi
stupidamente per la muta stanza,
60— Ch’altro sará — dicea — che il cor mi tocchi? —