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entre alla roccia madre, che stretto ti avvolge, l’impronta
2del tripartito corpiciattolo strappo,
e nella pietra viva mirabilmente scolpiti
4della glabella turgida l’arco miro,
e l’incavata pleura, che un dì l’aura triste bevette
6di nessun polline ancor feconda, un grido
misterioso salire par dalla roccia ferita,
8dalla roccia pur ora ribaciata dal sole.
Incerto, e dalla mano tremante sfuggonmi e cadono
10gli scalpelli, mi arresto. « Qual di secoli, chieggo,
o impietrato vivente, qual mai di secoli corse
12catena lunga da quel remoto giorno
in cui la riva fangosa di un tiepido mare segnasti,
14vagante artropodo, de l’incerta tua orma?
Le sigillarie cupe levavan nell’aere nebbioso
16le scarse chiome; per le selve lugubri