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184 in ritardo

sera che par la sera dell’arrivo,
tenera e fresca come a primavera,

quando, trovati i vecchi nidi al tetto,
li salutava allegra la tribù.

Se n’è partita la tribù, da tanto!
tanto, che forse pensano al ritorno,
tanto, che forse già provano il canto
che canteranno all’alba di quel giorno:

sognano l’alba di San Benedetto
nel lontano Baghirmi e nel Bornù.

E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote,
l’acqua mi sferza, mi respinge il vento.
Non più gli scoppiettìi, ma le remote
voci dei fiumi, ma sgrondare io sento

sempre più l’acqua, rotolare il tuono,
il vento alzare ogni minuto più.

E fuori vedo due ombre, due voli,
due volastrucci nella sera mesta,
rimasti qui nel grigio autunno soli,
ch’aliano soli in mezzo alla tempesta:

rimasti addietro il giorno del frastuono,
delle grida d’amore e gioventù.

Son padre e madre. C’è sotto le gronde
un nido, in fila con quei nidi muti,