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sporre di più tempo. Si potrebbe qualche volta.... non andando a scuola.... Capirai, con quelli là non è il caso....
— Già — approvò Gino pensoso.
— Si potrebbe fondare un altro club, io, tu e Pierino Muggia.
Sulla discrezione di quest’ultimo si poteva contare. Faceva già parte dell’altra società segreta, quella politica, e senz’essere un’aquila d’intelligenza era tuttavia un bravo ragazzo, sincero, devoto e buon patriota: insomma imo di quelli che nella vita e protetto da loro sarebbe stato, non già un Garibaldi, ma un Nino Bixio.
— Sta bene, glielo dirò.
Prepararono i diversi timbri, incidendo le lettere alla rovescia su dei turaccioli di sughero e inscrissero in prima pagina d’un bel quaderno nuovo i (nomi dei soci ch’erano già tre, per ora, — salvo sempre l’adesione di Pierino Muggia. Al piede della pagina e anche di alcune altre, ancora in bianco, misero addirittura il timbro: Il Presidente e la firma: Renato Obrizzo.
Stanchi di tanto lavorare s’accorsero che avevano fame.
Di là qualcuno si sgolava a chiamarli perché era l’ora del caffelatte. Chiamassero pure!
Altro che caffelatte!
Avevano scoperto sulla parete, in alto, dissimulata dalla carta del parato, un’apertura che comunicava nientemeno che con l’attiguo camerino della dispensa.