Vai al contenuto

Pagina:Capella - L'anthropologia, 1533.djvu/107

Da Wikisource.

LIB. III. 51

et miserie nelle quali vive, parmi quella sentenza gia anticamente detta, et da Plinio recitata verissima. Ottima cosa esser allhuomo non nascere, ò nato tostamente morire. Il che esser vero chiaramente ci dimostra la prima voce, che da lui si sente uscire; cioè guai; i quali dal principio della vita infino alla morte non l'abbandonano. Et perciò fu consuetudine nel paese di Thracia piangere quando i fanciulli alla luce venivano; et alla morte con canto, et allegrezza accompagnarli. Oltra à ciò nasce egli con si poche forze, che infino à lungo tempo non può pur da se stesso sostentarsi: senza favella, se non quanto altri con longa fatica glinsegna: senza giuditio delle cose utili et nocive: sproveduto et in tutto disarmato contra il caldo, e 'l freddo. Che diro dell'empia matrigna Natura? la quale ha creato mille nemici di lui piu potenti, leoni, tigri, lupi, serpenti, et molti animali velenosi et fortissimi: da cui se non con gran fatica et pena non può difendersi. Et come che tutte queste cose fossero poche, che sono molte: ha fatto ancora tante et si diverse infermità, fianchi, gotte, febbri, fiussi, gauoccioli, ardori, humori; et ne ha etiandio creati tanti assiderati, et attratti, chi di piedi, chi di gambe, chi di braccia, chi d'altre membra: chi cieco, chi sordo chi mutolo, et chi di tante altre maniere di mali tormentato; che pare che l'huomo trovandosi sano, lo si rechi à gratia singolare. Lascio lo insatiabile disiderio, che di continouo ci afflige, cŏ(m)mune difetto, anzi pena de mortali. Lascio le fatiche degli artefici, et de contadini, i pericoli


G iii