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— Non so quel che dico, mezzo stordito dal sonno.... A doppia mandata, mamma!

La povera donna girava la chiave a doppia mandata nella toppa e spesso rimaneva a lungo a origliare. Lo sentiva voltarsi e rivoltarsi sul lettino coi trespoli, sospirare forte e anche borbottare. Fantasticava che il figlio fosse perseguitato da qualche «Spirdu» maligno e non volesse dirgliene niente per non metterle paura.

Poi, passata una certa ora, non si sentiva nessun rumore, nessun sospiro, nessun borbottamento; e la mattina dopo non si vedeva traccia di sofferenza e d’insonnia nel viso del giovane, che aveva ripreso la sua tranquillità, il suo umore allegro. A tavola imitava perfettamente il suo principale nell’atteggiamento indolente, nei brevi gesti, nel «brà-brà» ripetuto con sempre varie intonazioni. Ma, appena s’inoltrava la sera, ridiveniva irrequieto, smanioso, intrattabile. Pareva che soffrisse di non poter fare qualcosa che gli avrebbe dato gran piacere se gli fosse stato permesso di farla.

Chi glielo impediva?

E ogni sera si ripeteva, quasi parola per parola, lo stesso dialogo....

— Ma, insomma, che hai?

— Niente.

— Ti annoi, lo vedo; va a fare due passi; va a trovare qualche amico.

— Preferisco di andarmene a letto.

E alla madre, sopraggiunta col pretesto di dargli la buona notte, e che insisteva: — Ti senti male? — ripeteva:

— Fammi il piacere di chiudere l’uscio a chiave, a doppia mandata.

Tutte queste minuzie, caro cavalier Daeli, posso