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mortificato; ma quasi sùbito si lasciava vincere dalla incoercibile irritazione che le troppe cortesie e gentilezze gli producevano, e una volta, fu sul punto di gridargli, davanti ai colleghi di ufficio:

— Ma lo sai che cosa ho fatto? Ti ho fatto!... Ti ho fatto!...

E lui stesso non sapeva com’era riuscito a frenarsi.

Da qualche giorno, Biagi aveva notato certi misteriosi confabulamenti dei colleghi di ufficio, dai quali egli era escluso. Giani andava da un tavolino all’altro, da una stanza all’altra, tirava in disparte ora uno, ora l’altro dei colleghi. E siccome Biagi, insospettito, — aveva la coda di paglia — domandò: — Io sono scartato? — Giani, con aria di insolita serietà, aveva risposto: — Appunto! Appunto! Quantunque.... si tratti di te.

— Di me? Ma io non permetto...

— Permetti o non permetti...

— Permetterai, fino a domattina — intervenne un collega ridendo.

Si era dimenticato che il 16 di agosto avveniva il suo onomastico. Giani aveva organizzato una piccola festa di fiori e una colazione al Pozzo di