Pagina:Capuana - Giacinta.djvu/138

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— Vengo subito.

Ma continuò altri cinque minuti a ragionare col cavalier Mochi e con due azionisti della Banca, per non insospettir questi; poi uscì.

Giacinta, in piedi, appoggiata alla spalliera di una seggiola, seguiva con lo sguardo il commendatore che andava su e giù pel salotto, tirandosi nervosamente le fedine grigie, lanciando delle torve occhiate di traverso.

— Pover’uomo! Le faceva compassione. Senza la compra della palazzina... Ma già, forse, avrebbe fatto una grossa corbelleria.

All’arrivo della mamma, Giacinta si accostò alla finestra dove il conte Giulio stava a guardare la folla, dietro la persiana, divertendosi come un ragazzo.

— Teresa, — disse Savani concitato, andandole incontro e prendendola familiarmente per una mano; — Teresa, quelle trenta mila lire? Ricorro a voi proprio all’ultimo.

— Quali? — rispose la Marulli.

Savani capì il vero significato di quell’accento di sorpresa, e disse subito:

— Oh, non le perderete!... Uno, due giorni soltanto... Ve lo giuro.

— Ma, ecco...

— Non le perderete! Manca un quarto d’ora alla chiusura. Venticinque, trenta mila lire possono salvar la banca da un disastro. Abbiamo fatto miracoli. Ho buttato tutto il mio nell’abisso; lo ripescherò più tardi. Se oggi si chiudesse la cassa senza arrestare i pagamenti... Teresa, quelle trenta mila lire! Ve ne prego!

— Non le ho più, da tre giorni.

— Non le avete più?