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— Perchè non ripuliva i viali? Perchè non annaffiava i fiori e le piante? Fannullone!
Beppe gli si piantava dinanzi, alla militare, con un’aria di canzonatura, borbottando fra i denti:
— Sbraita, cornuto!
E trovava sempre qualche scusa:
— La bambina aveva voluto fare il chiasso fino allora. Era andato qua... Era andato là... La signora lo mandava attorno come il vento.
E spesso era vero.
La bambina, allestiti in fretta i compiti delle lezioni che veniva a darle a casa una vecchia maestra, passava il resto della giornata insieme con lui, giocando alla palla pel viale di acacie, o a rimpiattarello nella galleria mezza buia, dalla volta e dalle pareti incrostate di sassi spugnosi e di finte stalattiti; o nel chiosco dal cupolino a graticola, coperto di piante rampichine che ciondolavano in viticci carichi di campanule bianche. Lì Beppe le raccontava le fiabe o i suoi casi di quand’era bambino; ed essa stava ad ascoltarlo a bocca aperta.
Quel Beppe aveva fatto cento mestieri: il ragazzo di falegname, il mozzo di stalla, il merciaiuolo ambulante; aveva servito in un’osteria di campagna dove i vetturali, mentre le bestie mangiavano la biada, si divertivano a ubbriacarlo, a insegnarli canzonacce e bestemmie che quel figliaccio d’una cagna, come lo chiamavano, imparava subito a mente. Quanta gente, quanti paesi aveva egli visto! E quante cose sapeva!
— E che malizia, quello scimmione! — diceva Camilla.
Spesso infatti, nascosto con la bimba in fondo al chiosco, se la faceva sedere sulle ginocchia e le domandava: