Pagina:Capuana - Giacinta.djvu/47

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vederla ogni sei mesi e la lasciavano in collegio anche durante le vacanze.

— Come è diventata grande!

— La malerba vien su presto!

L’esclamazione della mamma e il motto del babbo si ripetevano, ad ogni visita, colla stessa fredda intonazione dalla parte di lei, con la identica risatina sciocca dalla parte di lui. Poi, ogni volta, pareva che la sua mamma venisse lì apposta per sgridarla; non era mai contenta dello studio, della nettezza... di niente!

— Dio mio! Perchè la mamma non mi vuol bene?

E pensava di diventar cattiva, per meritarsi almeno quel trattamento!

Non era più una bambina; aveva già sedici anni. Le confidenze di qualche amica le avevano aperto un po’ gli occhi. La sua fanciullezza abbandonata le si aggravava sul cuore terribilmente, coi più vivi particolari, rimescolandola tutta. E quando le passava dinanzi agli occhi l’immagine di Beppe, con quel testone nero e quelle pupille nere che l’avevano tenuta così sottomessa, sentiva vibrare per tutto il corpo una sensazione strana, d’inesplicabile tenerezza verso quell’unico amico della sua infanzia che l’aveva tanto divertita e le aveva voluto un po’ di bene! E i baci di quelle labbra carnose le rifiorivano, caldi, per un istante, sulle gote insieme colle carezze delle ruvide mani di lui.

Così le si accresceva la smania di rivedere i luoghi dov’era trascorsa la sua fanciullezza, cari luoghi che dopo cinque anni di lontananza già prendevano nella sua immaginazione proporzioni grandiose, splendori abbaglianti.

Che altro le avrebbero rammentato quel ripostiglio, quegli alberi, quei viali, quel chiosco del