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gli elogi della padroncina, parlando a voce bassa, come si fosse trattato di un segreto.
— Buona, sì, ma disgraziata! — egli conchiudeva. — Dote, poca o punta. Poi... Capisci?... Un pregiudizio; ne convengo!... Ma la società è fatta così, impastata da cima a fondo di pregiudizii forti più delle stesse leggi... Capisci, carina?
— Però, una persona savia, come lei!... — insinuò Marietta, senza badare alla nuova carezzina con cui il Mochi le solleticava la gola.
Parve ch’egli esitasse un momento, aggrinzando la guancia sinistra, per la lente.
— Se potessi parlarti con più comodo... a quattr’occhi?
E guardava attorno.
— Parli pure.
— No, un’altra volta.
— Che voleva dirle quella mummia, a quattr’occhi?
Marietta smaniava alle confidenze a miccino e a riprese che Mochi le andava facendo, come se gli costassero quattrini e cercasse di spenderli un po’ alla volta.
— L’ha dovuta ammaliare! — gli disse una mattina, per spronarlo. — Peccatoraccio! — A gatto vecchio sorcio tenerello.
Ma colui non si decideva a vuotare il sacco, masticava le parole:
— Infine, coi pregiudizi della società, capisci, renderei un bel servigio alla Giacinta...
— Carità pelosa!
— Però...
— O che non si fida?... Parli chiaro.
Se ne fidò tutt’a un tratto, espansivo, carezzandole più amichevolmente le guancie e il mento.