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penti che si agitavano aggrovigliandosi, battendole sulle spalle, avvolgendosele attorno al collo. Serpenti per braccialetti, serpentelli alle dita a mo’ d’anelli: e non più la veste di seta e ricami d’oro, ma di strane pelli di bestie selvagge.

Intanto ella si trovava già dentro, e colei aveva subito chiuso l’uscio a chiavistello.

Era una Mammadraga, che si nutriva di bambini.

Figuriamoci che cuore fece la poverina a quella vista!

— Anellino, aiutami tu!

— Uh! Uh! Che buon odore! —

La Mammadraga la fiutava tutta, ma non poteva toccarla per via dell’anellino e dalla rabbia si mordeva le labbra.

— Che ci hai addosso? Fammi vedere. Perché nascondi le mani? —

La bambina, tremante, le mostrò le mani.

— Oh, che brutto anello! È di rame. Te ne darò uno d’oro.

— Questo mi piace e mi basta. —

La Mammadraga le voltò le spalle e la lasciò sola.

Di fuori, il palazzo della Mammadraga era bellissimo; dentro però una spelonca, con le pareti e le vòlte tutte affumicate, e un puzzo